Professionisti infelici o felici: una ricerca di Jabra svela il paradosso della Generazione Z

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Mentre le nostre abitudini lavorative gradualmente si stabilizzano in un’era post-pandemia, il dato relativo al ritorno in ufficio dei professionisti continua ad aumentare. Ma come si presenta e, soprattutto, come si sente la nostra forza lavoro emergente, vale a dire la Generazione Z?

Alcune regole non scritte sembrano essere state stravolte dall’ingresso della nuova generazione nel mondo del lavoro. La flessibilità (35%) conta più di ogni altra cosa, compreso lo stipendio (4%), quando si valuta l’importanza dei fattori da considerare nella scelta di un lavoro. In effetti, la GenZ ha dato alla flessibilità il punteggio più alto di tutte le generazioni. Questo è quanto emerge dall’ultimo rapporto di JabraMind the Gap – How Gen Z is Disrupting the Workplace in 2024, che analizza il tema del lavoro tra le diverse generazioni, condotto tra 4.473 persone in 14 mercati di tutto il mondo, Italia compresa.

Tuttavia, queste differenze generazionali nelle preferenze non si presentano solo come ideali capovolti, ma in alcuni casi come paradossi totali: il 52% degli appartenenti alla Gen Z sperimenta sintomi di stress a causa del lavoro, ma allo stesso tempo dichiara di essere più che soddisfatto della propria attività rispetto alle altre generazioni, con più di 7 profili su 10 che si sentono appagati. Secondo studi recenti, la Gen Z e i millennial costituiscono attualmente circa il 38% della forza lavoro globale e questa percentuale salirà a circa il 58% entro il 2030[1]; i leader di impresa devono imparare a comprendere il cambiamento della loro mentalità, dei loro atteggiamenti e il peso dei loro valori per sbloccare il pieno potenziale collaborativo.
 
Paradosso 1: la Gen Z potrebbe essere felice, ma ha già un piede fuori dalla porta
La Generazione Z è entrata nel mondo del lavoro da qualche anno, e le condizioni in cui è entrata nel mercato (online e da remoto) stanno chiaramente iniziando a riflettere la loro natura di nativi digitali. È considerata la generazione più flessibile dal punto di vista lavorativo, con l’89% del campione che lavora in posti che consentono di scegliere i propri orari. Tuttavia, i Gen Z si dichiarano soddisfatti del lavoro, ma sono anche alla ricerca di una strategia di uscita.
Oltre il 70% si dichiara soddisfatto, ma il 52% dichiara di essere sotto stress e il 48% prevede di cambiare lavoro nel prossimo anno. Non è ancora chiaro se si tratti di un’estensione della tendenza a “lasciare tranquillamente il lavoro” (il cosiddetto “quiet quitting) o se sia dovuto al fatto che il 74% della Gen Z crede nel cambiamento professionale come motore di sviluppo della carriera.

Paradosso 2: la Gen Z può ottenere flessibilità, equilibrio tra lavoro e vita privata e sviluppo della carriera allo stesso tempo?
La Generazione Z è spesso definita come quella che vuole tutto, che desidera lo sviluppo della carriera, la flessibilità e l’equilibrio tra lavoro e vita privata. Sebbene si pensi che questa generazione dia spesso la priorità alla vita personale rispetto al lavoro, il 43% della Gen Z comunica ancora una preferenza per lo sviluppo della carriera. Tuttavia, per il 27% della Gen Z l’equilibrio tra lavoro e vita privata è considerato uno dei principali fattori del successo professionale. Questo indica che la Gen Z non ritiene di dovere scendere a compromessi per avere tale equilibrio.

Non è chiaro se questa differenza possa essere attribuita al fatto che gli appartenenti alla GenZ siano generalmente più ambiziosi o che siano stati male informati sulla realtà lavorativa. Ad esempio, è emerso che la Generazione Z ha il doppio delle probabilità rispetto alla Generazione X e ai boomers di scegliere i social media come influenza sulle aspettative di carriera (24%). Quindi, la Generazione Z si troverà di fronte a un brusco risveglio o la sua spinta si tradurrà nel trovare quel punto di equilibrio tra lavoro e vita privata che le generazioni precedenti non hanno mai trovato?

Paradosso 3: una forza lavoro ibrida che vuole il confronto “faccia a faccia”
Il lavoro ibrido ha certamente aiutato molti a conciliare vita privata e professione, in particolare i nativi digitali della Gen Z. Tuttavia, alla domanda su cosa li faccia sentire in sintonia con i colleghi, il 34% della Gen Z ha ritenuto che il confronto “faccia a faccia”, anche con i manager, sia un fattore chiave. Vedere e interagire con i colleghi, di persona o in video, è emerso come il motivo principale per cui i dipendenti sentono un senso di appartenenza al lavoro.

Tuttavia, i GenZ sono più propensi ad affidarsi agli strumenti digitali e alla tecnologia per tenersi in contatto e sentirsi in sintonia con i colleghi. Questo potrebbe spiegare perché più della metà dei boomers, dei Gen X e dei millennials considera la comunicazione di persona come il fattore principale del senso di appartenenza, mentre solo il 45% della Gen Z vi ha attribuito il primo posto.

Sebbene la Generazione Z richieda maggiormente un lavoro in modalità flessibile, che spesso include un elemento virtuale, nulla batte le interazioni di persona. Ciononostante, quando è necessario, è l’unica generazione a provare il maggior senso di appartenenza in modalità online, molto probabilmente grazie al loro rapporto positivo con la tecnologia. Per questo motivo, i leader di impresa devono favorire una maggiore vicinanza digitale ai colleghi anche attraverso frequenti punti di contatto: dalle chat allo sfruttamento della tecnologia professionale per le chiamate, alle e-mail e alle riunioni virtuali che consentono un’esperienza costante non troppo lontana da quella dei meeting in presenza. In definitiva, il ruolo della tecnologia mira a colmare il divario ibrido e ad alimentare un senso di appartenenza completo con i dipendenti di tutte le generazioni.

Paradosso 4: la Gen Z tace, ma si aspetta il contrario dai manager
Appartenere è una cosa, ma sentirsi ascoltati sul posto di lavoro è un’altra. Non è un segreto che la Generazione Z sia a suo agio nel parlare di argomenti difficili, come la salute mentale e la diversità. Ma questo si traduce anche nelle loro esperienze professionali? Sembra di no: il 36% degli appartenenti alla Gen Z non si sente a proprio agio nell’affrontare con il proprio manager il tema dell’infelicità sul lavoro. La Generazione Z preferirebbe avere un manager empatico (38%) rispetto a uno esperto (9%), mentre l’onestà e l’integrità sono 5 volte più importanti dell’esperienza.

Poiché molti dipendenti entrano in posizioni manageriali in età più giovane, è probabile che le società vedano un cambiamento nel ruolo del manager e, di conseguenza, negli stili di gestione. Lo dimostra il fatto che la Gen Z consideri la cordialità una qualità significativamente più alta rispetto alle altre generazioni (il 33% la considera una qualità importante, mentre solo il 23% delle altre generazioni la reputa un fattore di primo piano).

Questo lascia ai manager un compito difficile. Per aiutare i GenZ a passare dall’essere una forza lavoro silenziosamente insoddisfatta a leader del futuro preparati e genuinamente positivi, i manager di oggi devono trovare un equilibrio tra il dare l’esempio e il mantenere un atteggiamento accessibile e trasparente. Nella maggior parte dei casi, la GenZ ha perso gli anni di apprendimento fondamentali, poiché molti sono entrati nella forza lavoro senza le lezioni apprese frequentando un ufficio. In ogni caso, sia i leader, che i dipendenti più giovani hanno qualcosa da imparare e da insegnarsi a vicenda sul modo di lavorare.
 
Paul Sephton, Head of Brand Communications di Jabra commenta, “Non abbiamo mai vissuto un’epoca con differenze generazionali così marcate per quanto riguarda la concezione del lavoro. È fondamentale che i leader cerchino di comprendere i complessi paradossi del modo in cui le nuove generazioni percepiscono il mondo professionale. In ottica futura, le aziende dovranno considerare le conseguenze che la mentalità della Gen Z potrebbe avere sulla forza lavoro. Fornire ai giovani dipendenti gli strumenti necessari – sia tecnici, che psicologici – per massimizzare il benessere e la produttività, sarà un impegno non negoziabile per chi punta al successo a lungo termine”.

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